L'Altro come Maestro

Nel post di ieri (Lezioni d'amore) abbiamo accennato ad un concetto, a mio avviso fondamentale, della mediazione (e della formazione): l'Altro come Maestro.

Si tratta di una riflessione che si presta ad una duplice lettura.

Più frequentemente di quanto ci si renda conto, infatti, nei nostri giochi relazionali utilizziamo due modelli dicotomici: uno che ci vede in una posizione one-up in cui, per dirla meglio, crediamo di saperla più lunga dell'Altro; e uno che ci vede in una posizione one-down, dove, cioè, subiamo, con più o meno riluttanza o benevolenza, il sapere dell'Altro.

La mediazione o meglio, il mio concetto di mediazione, propone una terza soluzione... Riconoscere l'Altro come Maestro.

Riconoscere l’Altro, chiunque sia (discente o docente, mediatore o parte), come parte essenziale nella costruzione mai finita della propria identità, semplicemente per il fatto che egli mi é simile/diverso e, se lo guardo, non solo mi ri-guarda (doppio movimento che contempla l’idea di cura e attenzione mia all’Altro e, insieme, il fatto che l’Altro, guardandomi, a sua volta mi riconosce come suo simile/diverso), ma anche che, attraverso il suo sguardo, anch’io mi sento guardato e mi guardo, mi ci scopro riflesso.

Si tratta, insomma, di quell’ineludibile mutuarsi che caratterizza (consapevolmente o meno) ogni relazione, poiché solo nello iato che si crea tra me e l’Altro si avvicenda la possibilità di cambiarsi (formarsi, mediarsi): colmandolo.

Divenire consapevoli e imparare a compiere tale riconoscimento significa, necessariamente, collocarsi oltre gli ostacoli delle reciproche incomprensioni, delle epidermiche antipatie, delle intolleranze, dell’astio e persino dell’odio, di quei sentimenti che, insomma, sono parte costitutiva dell’umano (e degli umani in mediazione soprattutto) ma che, troppe volte, ci portano a negare l’Altro, e con esso quel tragitto di storia che (breve o, lunga che sia) abbiamo comunque percorso insieme, proprio perché troppo distante da quell’immagine in cui vorremmo determinarlo.

Riconoscere l’Altro come maestro significa, invece, accettarlo con tutte le sue (ai miei occhi) brutture; non eludendole, non dissipandole in quel mediocre spirito buonista oggi tanto in voga, ma, anzi, mettendole in luce al pari delle sue (ai miei occhi) qualità e, laddove queste dovessero difettare, persino a prescindere da esse. Solo così potrò, una volta in più, riconoscerlo come maestro, seppure nella differenza tra il mio ideale e quanto di lui ritengo negativo, irritante, scostante... doloroso.

Insomma, l’Altro mi è maestro -comunque- e io -comunque- sono mastro per l'Altro e questa consapevolezza mi è indispensabile per conferirgli tutta la dignità di Uomo, per andare oltre ogni episodica che ci può anche vedere confliggere animatamente ma mai sottrarci dal reciproco rispetto.

Imparare a riconoscere l'Altro come Maestro è il passaggio fondamentale per ri-conoscere anzitutto se stessi, come soggetti inscindibili di una storia complessa che sempre implica  l'incontro/scontro con l'Altro: colui che, diverso da me (mio padre, mia madre, l'amico, l'amore, mio figlio, etc.) fa, insieme a me, la mia storia. Per questo, ogni cesura di questi tragitti di vita compiuti con l'Altro, rischia di diventare un taglio al lungometraggio delle nostre vite rendendone, a volte, pericolosamente illeggibile la trama.

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