La mediazione coniugale


Di ritorno dalle vacanze (che spero abbiate trascorso splendidamente), riprendiamo le nostre riflessioni interrotte a partire da quella "Mediazione Coniugale" che, tempo fa, avevo promesso e che poi vari eventi hanno rimandato. 

Torniamo, dunque, a qualche post or sono: quella "Pedagogia dell'amore di coppia" a partire dalla quale riferivo di un modo altro di fare mediazione, un modo che comprende la mediazione familiare ma, pure, ne rappresenta un superamento evolutivo: la mediazione coniugale, appunto. 

Rispetto al modello anglosassone, la mediazione coniugale da me elaborata, si traduce in un percorso ideato non solo per affrontare la crisi della coppia in ottica riparativa ma, soprattutto, per anticiparla e prevenirla, sollecitando ogni suo protagonista a riconoscere la propria storia con rispetto e consapevolezza di sé e dell’Altro. Un percorso che aiuta la coppia a comprendere i comportamenti distonici che emergono nelle relazioni amorose, per poi procedere alla loro rivisitazione critica e alla loro ristrutturazione, senza evadere dai tòpoi della mediazione: il conflitto, la comunicazione, la relazione.

Mediazione coniugale non significa, dunque, tentare, semplicemente, una ricongiunzione, bensì affrontare una possibile evoluzione: generando cambiamenti, trasformazioni positive, affinando la capacità dei singoli e della diade di conferire senso e valore al proprio mondo, sollecitando la consapevolezza del proprio specifico e ineliminabile contributo nella costruzione della realtà e sviluppando, al contempo, la capacità di mediare con l’Altro e con le sue interpretazioni del mondo.

Sempre più spesso chi opera nei contesti di mediazione familiare, avverte la necessità di poter governare il processo di mediazione affrancato dalle rigide strutture di un’impostazione che vorrebbe il mediatore familiare vincolato ad accompagnare le parti solo negli articolati passaggi della separazione o del divorzio. 

La mediazione coniugale si apre, invece, ad un accompagnamento esente da pre-giudizi, un "prendersi cura di..." che legge come ugualmente ideologico qualsiasi tentativo a priori di separare come qualsiasi tentativo a priori di riconciliare. 

Al mediatore coniugale non interessa se la coppia vuole separarsi o restare insieme.. 
Al mediatore coniugale interessa accompagnare la coppia e i suoi singoli componenti a ritrovarsi in una dimensione comunicativa più trasparente e coinvolgente, insegnando loro a vivere il conflitto in ottica costruttiva, riscoprendo, separati o insieme, il senso, la bellezza e l'importanza di una gestione consapevole, responsabile e progettuale della loro storia (passata, presente e futura)  e, laddove vi sono, di quella dei loro figli.

Duqnue, la differenza tra mediazione familiare e mediazione coniugale non si connota riduttivamente nel fatto che una è chiamata a dividere e l’altra si apre invece anche alla possibilità di unire, ma che una può accontentarsi di un buon accordo e l’altra non può fare a meno di generare un cambiamento, una trasformazione. Il senso della ri-congiunzione cui questa mediazione aspira, non va quindi letto unicamente come una possibile ripresa più adeguata della convivenza, ma come la capacità del mediatore di coniugare (appunto) le istanze profonde del singolo partner con le esigenze della coppia.

Per questo, il mediatore coniugale, oltre alle tecniche specifiche della mediazione atte a governare il conflitto e a riaprire la comunicazione, è anzitutto un esperto delle cose dell’amore, poiché la mediazione coniugale è fondamentalmente un processo pervaso dall’idea dell’amore, inteso (al di là di ogni melensa configurazione) quale esercizio a fare bene, a farsi del bene, a ricercare il proprio ben-essere, dove il mediatore coniugale veste i panni di un vera e propria guida capace di aiutare le parti a ri-conoscere il proprio reciproco ben-essere, imparando il modo migliore per costruirlo con l'Altro.

DI queste riflessioni avrò modo di approfondire al World Mediation Forum che quest'anno si terrà in Spagna a Valencia.

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