Aretè: l'arte del ben-essere


Quando parliamo di giochi in quel complesso panorama che sono le relazioni amorose e, in particolare, per quella pedagogia dell'amore di coppia che qui abbiamo battezzato, non intendiamo semplicemente un'attività a cui i partner debbano dedicarsi senza altri fini se non lo svago e la ricreazione, bensì l'altra faccia che il giocare sempre contempla, ossia la messa in atto di vere e proprie capacità esercitate in determinate condizioni e con precise regole la cui finalità è, semmai, la riconquista della ricreazione, sia intesa come momento dedicato ad attività piacevoli, sia come capacità di ri-creare continuamente un'evolutiva relazione amorosa tesa verso il ben-essere e la felicità di entrambi. Si tratta, insomma, della disponibilità e della capacità di scegliere e coltivare sempre la strada del farsi del bene, anziché quella del farsi del male.

Questa, pur ridotta ai minimi termini, potrebbe essere un'interessante definizione dell'amore: scegliere per sé e per l'Altro la strada che produce ben-essere anziché quella che produce mal-essere.

I greci usavano il termine "Aretè" (letteralmente: "Virtù") per indicare una forza d'animo, una volontà, un vigore morale affinché la vita umana si rivelasse degna di essere vissuta, ricca di significato ed esempio per gli altri. Dalla radice di aretè "Ar" giungerà a noi il latino "Ars", ossia: "Arte", mentre la virtù sarà declinata in "Virtus" assumendo più specificamente il significato di una disposizione d'animo volta al bene, al fare bene, anche nel senso di eccellere.

Questa rincorsa linguistica tra differenti ma parenti significati mi ha sempre invitato a una sintesi in cui volontà (aretè) e bene (virtus) si fondono nella "volontà di fare bene", una volontà che deve necessariamente passare attraverso una sforzo creativo (ars) capace di farci uscire da quelle tendenze egoiche che, invece, ci vorrebbero tendenzialmente concentrati e piegati su noi stessi -con un'impennata laddove gli amori giungono alla fine. Creare, infatti, è sempre connesso alla volontà di uscire da sé donando qualcosa che prima era mio (dentro di me) e, una volta creato, diviene del mondo (fuori da me) -si pensi al concepimento e alla nascita di un figlio come esempio forse più immediato.

Questa virtù, dispiegata come "volontà di creare il bene", di stare nella relazione col mondo e con l'Altro mettendo in gioco le nostre migliori abilità per generare qualcosa di bello, capace di indurre ben-essere è, a mio avviso, uno degli elementi essenziali che gli amanti dovrebbero imparare scientemente a condividere mettendo anzitutto al centro la volontà creativa, artistica, ricreativa, ludica, giocosa (aggiungete voi altri sinonimi se ve ne vengono) che sta alla base del "fare bene" e del ben-essere.

Il passaggio da una concezione dell'amore come spinta naturale che c'è o non c'è, a questa concezione che vuole invece l'amore generarsi e, soprattutto, rigenerarsi attraverso un accesso consapevole alla creatività capace di dare linfa vitale alla relazione, rappresenta il presupposto per una sana e costruttiva vita di coppia dove il benessere vince sia quando sussiste l'amore coniugale, sia quando questo declina per lasciare spazio a quell'amore diverso di cui abbiano più volte accennato.

Aiutare la coppia a riappropriassi di quello spirito creativo che è la forza vitale degli amori al loro esordio e che poi, se non coltivato, il tempo fa spesso smarrire e esaurire, è uno dei compiti principali del mediatore familiare, del mediatore coniugale (soprattutto) e di quella pedagogia dell'amore di coppia che governa il mio modo di intendere e esercitare queste due discipline.

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