Li-miti dell'Amore: il Mito della Libertà

Fa più o meno coppia gregaria ai diversi li-miti dell'amore sin qui osservati ("Il mito dell'indipendenza" e "Il mito della con-fusione") con i loro relativi correlati ("A guardia della tua solitudine", "Amore toglimento di morte" e "Pro-gettare l'Amore") il mito della libertà.

Si tratta di un mito che si fonda su due opposte configurazioni, che esprimono, entrambe, un'inadeguata concezione della libertà e del suo spirito salvifico.

Da una parte abbiamo coloro che, nonostante le larghe maglie delle libertà individuali conquistate negli ultimi decenni, approdano ancora oggi al matrimonio o alla convivenza più per la necessità di evadere dalle briglie di famiglie d'origine vissute come stringenti e castranti, che non sul desiderio ponderato di vivere con l’Altro.

Dall'altra il suo esatto contrario: il timore di vedersi restringere, proprio nella convivenza con l'amato, una libertà esasperata di cui spesso le famiglie si fanno garanti avvolgendo il figliol prodigo di una tal serie di attenzioni da condurlo a forme deprimenti di deresponsabilizzazione e di dipendenza -configurazione che se un tempo sembrava caratterizzare più frequentemente il genere maschile, oggi coinvolge parimenti entrambi i sessi.

Utilizzando, a mo' di esempio, delle immagini un po' stereotipate che non rappresentano appieno la realtà (che, per fortuna, è sempre più sfumata), ma ci possono aiutare a comprendere le conseguenze di queste due differenti modalità di relazionarsi con la libertà in amore; diremo che la prima configurazione produce, spesso, un soggetto che ha tanto sofferto la mancanza di libertà che, dopo essere fuggito dalla famiglia/prigione in cui viveva (o credeva di vivere), ora non sembra in grado di pensarsi in una relazione se non rifiutando qualsiasi vincolo, qualsiasi segnale che mini il suo desiderio di libertà totalizzante e assoluto: una libertà più o meno slegata da tutto e da tutti che, ovviamente, fa a pugni con il concetto di relazione che proprio su un qualche tipo di legame si fonda.

Nella seconda configurazione avremo, invece, un soggetto che, abituato a non dover render conto a nessuno della propria libertà, "servito e riverito", come si suol dire, vivrà il timore di impegnarsi in una relazione più impegnativa (in cui, potremmo dire, all'essere "servito e riverito" deve quantomeno alternarsi un "servire e riverire"), sviluppando dapprima una sorta di resistenza ad uscire dalla casa d'origine per poi, quando alla fine si deciderà ad impegnarsi, vivere anch'egli, come nel primo caso, la relazione come fastidiosa e limitante laddove non coincide appieno con i suoi desiderata.

Per fare alcuni esempi eclatanti e ricorrenti, si pensi ad affermazioni, sempre più in voga e equamente distribuite tra i generi, del tipo: "Ma chi me lo fa fare di sposarmi, in casa mia i miei mi trattano come un re/regina, se poi mi sposo mi tocca...". Oppure, si pensi a quelle giovani coppie che hanno istituto una sera la settimana in cui singolarmente escono con gli amici e le amiche di un tempo e si riferiscono, con tronfia leggerezza, a questa ricorrenza come al “loro giorno libero”, lasciando intendere il resto della settimana, ossia la vita con la donna e l’uomo che dicono di amare, come escluso dal loro concetto di libertà.

E’ chiaro che la relazione d’amore non può essere il luogo di una soffocante prigionia in cui, rispetto alla condizione precedente, si riducono i limiti della mia possibilità d’azione; l’amore, quando è autentico, è invece e viceversa il luogo della libertà, ma non di una libertà solipsistica, bensì di nuova frontiera della libertà: quella che si manifesta nell'incontro con il territorio dell’Altro.

Quello che, insomma, sembra sfuggire è che la libertà che si conquista nell'incontro con l'Altro non è sperimentabile individualmente. Si tratta, infatti, di una libertà che si concreta nel passaggio dall'unità alla diade e che mostra tutti i suoi vantaggi e le sue nutritive conseguenze proprio quando si confronta con la libertà dell’Altro e trova con l’Altro i modi e i tempi per costruire una libertà terza, capace di non compromettere le spaiate libertà che ognuno può sperimentare singolarmente, ma consapevole, al contempo, che quelle singole libertà, nella relazione d’amore, non potranno più essere assolutizzate, pena l’impossibilità di trovare insieme quella libertà terza in cui la relazione di coppia cresce e si nutre.

Soprattutto oggi che nessuno ci obbliga, come forse poteva essere un tempo, al matrimonio; oggi si può scegliere, molto più che in passato, la strada di una consapevole singolitudine; forse l’importante è sapere che anche questa è una strada che ha un suo costo/pedaggio -anche in termini di salute se è vero che, secondo alcune ricerche, i single sarebbero più a rischio di depressioni, ipertensione arteriosa, disturbi del sonno e persino di morte, infatti i decessi tra i single sono più alti del 10% nei maschi e del 4,8% nelle donne rispetto agli stessi che vivono in coppia ("Il Secolo XIX", 31 agosto 2004).

Allo stesso modo, la strada della vita coniugale, al di là di tutto l’amore che proviamo, non è, come si suol dire, tutta rose e fiori; prevede rinunzie e fatiche che, oggi più di ieri, proprio sul fronte delle libertà individuali, mostrano le loro più insidiose salite.

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