L'amore poeta

"Ritrovare la poesia dell'amore..." dicevamo nel nostro ultimo post, ma non nel senso di mettersi a sfornare pagine e pagine di evocativi stati d'animo come è, appunto, dei poeti, non solo per lo meno. Intendiamo, invece, con questo poetare, un darsi creativamente all'Altro riconquistando e abbandonandosi alla meraviglia d'ogni mistero d'amore. 

Abbandonarsi alla poesia dell'amore significa, allora, accettare, come direbbe Federico Garcia Lorca, che in ogni gesto d'amore ognuno si impegni a far sopravvivere il sì e il no delle cose; che in ogni gesto d'amore il sì e il no delle cose abbia pari cittadinanza e valore, poiché questa è la forza rivoluzionaria dell'amore, tanto più in questo nostro tempo dove tutto sembra spiegabile, decifrabile e nulla pare più imprevedibile. 

Abitiamo una società regolata da una sorta di teologia della scienza che ogni giorno ci racconta, dal pulpito dei mass-media, qualche buona novella (è ormai impossibile aprire il quotidiano senza scoprire che qualche misteriosa università dell’Ohio, dello Utah o simili hanno scoperto qualche nuovo gene o qualche medicamento destinato a rivoluzionare le nostre vite o a spiegare perché ci comportiamo in un determinato modo) scaraventandoci ben oltre il presente, in un tempo non-tempo che, pur non essendo il futuro, ha strappato ad ogni divenire la sua aurea di mistero.


Tutto è spiegabile, dunque, e dove non lo è lo deve diventare, compreso, ovviamente, l’amore, con i suoi segreti e le sue impenetrabili incongruenze, trafitto da numeri e indagini genetiche che cercano di decriptarlo e di svelarne gli arcani, e sessuologi, psicanalisti, psicologi, neuroscienziati che provano a interpretarlo e quando possono, come possono, a mistificarlo. 

Il microscopio della psicoscienze sul vetrino dell’amore ha ridotto quest’ultimo a una formula matematica da portarsi in tasca, e ogni suo mistero si è apparentemente (solo apparentemente) dissolto sotto i colpi del troppo visibile, perdendo il suo fascinoso corpus di oggetto senza linguaggio. 

Come certe sequenze pornografiche dove la macchina da presa indugia su porzioni di corpi che hanno perso ogni umanità e sanno solo di carne, l’ipertrofia dello sguardo psicoscientifico sulle cose dell’amore sta corrodendo ogni afflato poetico e quello che dell’amore rimane non soddisfa… al massimo riempie, come certi fastfood dove il cibo è pessimo ma servito più volte e in abbondanza (“Refile”, si chiama, la nuova tendenza ipercosumista della ristorazione che prevede, dopo aver acquistato la prima porzione o la prima bevanda, un seguente consumo gratuito e illimitato). 

La cultura della nostra contemporaneità, a differenza di tutte le altre, non ha generato alcuna ars erotica ma piuttosto una sorta di “scienza della sessualità” dove lo sguardo dei luminari si posa sul sesso freddo e distaccato, senza segreti. E il risultato è che oggi come mai siamo al corrente di tutto e nessuno ha più la pallida idea di nulla. 

Certo eros non è morto, ma è stato esiliato: lo si trova dappertutto e non è più in nessun luogo. 

“Ma il cuore,” forse lo si è dimenticato o troppo intensamente vissuto come un motto da scatola di cioccolatini, ha davvero, come diceva Pascal, “le sue ragioni che la ragione non conosce” (né può conoscere) e inutile e ridicolo è domandare al cerebro un sentimento che nemmeno il cuore sa spiegare e altro non può fare che affrontare il silenzioso linguaggio della poesia, e per estensione dell'immaginazione, affinché, attraverso le sue finzioni, non lo spieghi, ma lo dispieghi in varie e molteplici forme facendo sì che, in quell'apparente caos, ognuno si possa, a suo modo, cercare e ritrovare.

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